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Il Monastero di Gümüşler e la Madonna Sorridente

Non penso che esistano al mondo tanti altri luoghi così belli e interessanti come la Cappadocia, una regione nel cuore della Turchia dove si possono trovare contemporaneamente città sotterranee, abitazioni troglodite, chiese scavate dentro materiale vulcanico e poi affrescate con colori splendidi, resti di monasteri anch’essi scavati nel tufo che hanno ospitato centinaia, forse migliaia di monaci, formazioni naturali bizzarre chiamate (almeno in Cappadocia) «camini delle fate», che offrono panorami incantevoli. Per non parlare poi della ricchezza di questa zona dovuta al fatto che ha dato i natali a illustri santi della Chiesa locale e universale, come San Basilio Magno, il grande riformatore della Liturgia Ortodossa; San Gregorio di Nazianzo, amico fraterno di San Basilio e Vescovo di Costantinopoli; San Gregorio di Nissa, fratello di sangue di Basilio e poi altri santi delle zone vicine tra cui i quaranta martiri di Sebaste, San Teodoro, che viene sempre disegnato accanto a San Giorgio, il quale, secondo un’antica tradizione, è di origini cappadoci. Ecco perché secondo me la Cappadocia è una zona veramente unica al mondo.

 Questa meravigliosa regione è la meta turistica più ambita del Paese. L’itinerario standard include alcune visite d’obbligo quali la Valle di Göreme – famosa per le bellissimen chiese rupestri –, i camini delle fate, una città sotterranea e qualche sosta per ammirare il paesaggio e scattare foto panoramiche; insomma, quello che si può concentrare in un giorno. Eppure, occorre ricordare che la regione chiamata Cappadocia è molto più vasta di questo circuito attualmente percorso dai gruppi.

 Oggi vorrei farvi conoscere un monastero molto meno visitato e poco conosciuto, ma molto ben conservato: il Monastero di Gümü?ler.

 Si trova ai confini della provincia di Ni?de (l’antica Nahita), a sud di Nev?ehir, scendendo verso la Cilicia, prima di passare da Tyana, la seconda capitale della regione. Quest’ultima fu eretta per volere dell’imperatore ariano Valente, che divise in due la Cappadocia per sottrarre il potere a San Basilio – che difendeva l’ortodossia cristiana con fermezza – e lasciando così a questo padre della Chiesa cappadoce la supremazia episcopale solo su Cesarea, capitale della prima regione.

 Il villaggio che ospita il monastero si chiama Gümü?ler – Tracias o Dragia nel periodo bizantino – che letteralmente significa «gli argenti», per via delle vicine cave di argento, ormai però abbandonate.

 Il monastero fu scavato dentro un’enorme massa di tufo lunga circa 1500 metri.
Da un portale scavato a est del complesso si entra nell’atrio a forma quadrata, con pareti alte ben 14 metri. Sulle pareti si notano dei buchi tutti ben allineati che fanno pensare all’antica esistenza di un secondo piano creato con pali di legno su cui poggiava un pavimento di separazione (ora inesistente), tra i due livelli. 

 Il suolo dell’atrio fu usato come cimitero e infatti furono trovate ben diciassette tombe. Ricordo ancora molto bene di aver visto in una di queste tombe il corpo mummificato di un monaco, quando nel 1993 mi recai a visitare il sito per la prima volta. Poi portarono tutti i resti umani nel museo di Ni?de, poiché cominciavano a decomporsi al contatto con l’aria.
Intorno all’atrio troviamo numerosi anfratti: camere, saloni, cucina, depositi, cappelle, corridoi e tante altre stanze per tutte le varie necessità dei monaci. Pensiamo, infatti, che il monastero, secondo alcuni calcoli, ospitava almeno cinquanta monaci e fu scavato in un periodo che va dall’VIII al XII secolo. Avendo a disposizione il tufo, un materiale così facile da scavare, nel monastero vennero creati anche piani sotterranei. Questo materiale vulcanico, oltre a essere facilmente modellabile, permette di mantenere una temperatura costante di tredici gradi; questo fu il motivo principale per cui in Cappadocia si sviluppò l’usanza delle abitazioni troglodite. Come nelle città sotterranee, anche qua si può osservare la presenza di pietre rotonde nei corridoi: massi usati come porte che si potevano facilmente chiudere durante un attacco nemico o un pericolo. Curioso è anche il sistema di «citofono» (un buco stretto e lungo) tramite il quale si comunicava tra i piani.

 Dopo lo scambio di popolazione avvenuto nel 1925 in seguito alla guerra greco-turca del 1920-1923, ? quasi un milione e mezzo di cristiani presenti in Turchia dovettero partire per la Grecia e mezzo milione di musulmani furono mandati dalla Grecia in Turchia ?, anche i monaci furono costretti ad abbandonare il monastero, che rimase dimenticato fino al 1962, quando l’archeologo e bizantologo inglese, Michael Gough lo riscoprì e, ristrutturandolo, gli restituì il valore che merita. Dal 1973 è diventato un museo archeologico statale aperto al pubblico.
La parte più bella ed interessante del complesso è la sua chiesa creata a pianta «croce inscritta», cioè come una croce greca messa in un quadrato. La chiesa ha quattro colonne per reggere la cupola, anche se non ce ne sarebbe bisogno, perché il tufo è talmente leggero che anche togliendo le colonne non crollerebbe nulla, ma fa parte dell’impianto architettonico in voga nel mondo bizantino dopo il X secolo e ciò ci aiuta a datare questa chiesa. A differenza però di tutte le altre chiese simili in Cappadocia, questa ha una notevole altezza, come nelle chiese armene, per le quali la verticalità è essenziale. E in effetti alcuni studiosi affermano che questa pianta fu introdotta nel mondo bizantino grazie all’arte armena. La chiesa è inoltre decorata con affreschi: sulla conca dell’abside ? purtroppo parzialmente rovinata ? in alto, si trova una delle scene più importanti dell’iconografia bizantina, la Deesis. In mezzo invece, è visibile Gesù Pantocrator ovvero Signore/Creatore dell’Universo, assiso in trono, chiamato hetoimasia o etimasia, ossia il trono del Giudizio universale, che con la destra benedice e con la sinistra tiene il Vangelo; in piedi alla sua sinistra c’è la Madonna e a destra San Giovanni Battista, entrambi in posizione di supplica. Siccome questa scena descrive l’inizio del Giudizio, sia la Madre di Gesù sia il Battista intercedono per l’umanità. Sotto il trono si vedono i simboli dei quattro Evangelisti: l’aquila-San Giovanni, il leone-San Marco, il toro-San Luca, l’angelo-San Matteo. Ai due lati in basso, la scena viene completata da due angeli. Sempre sull’abside, ma in basso, troviamo la Madonna orante in mezzo ai Santi della Chiesa celeste, tra i quali non possono mancare i tre grandi Cappadoci (San Basilio e i due Gregori). Gli affreschi dell’abside sono usciti dalla mano di un primo artista, invece quelli del braccio nord, raffiguranti l’Annunciazione, la Presentazione al tempio, la Natività, i Santi Stefano e Giovanni Battista, sono opere di un secondo artista. Infine un terzo sarebbe responsabile della scena della Madonna con Bambino e dei due Arcangeli che gli stanno accanto, affresco che si trova nel nartece della chiesa. Tutti questi dipinti si possono datare ai secoli XII-XIII.

 Fin qui nulla di nuovo: queste scene le potete incontrare in una qualsiasi altra chiesa bizantina. Ci sono però due particolari, che fanno l’unicità di questo luogo. Il primo è la presenza, al piano superiore, di altre scene non religiose mai trovate altrove in Cappadocia. Si tratta di scene di caccia, purtroppo un po’ rovinate. Il secondo è un affresco nell’abside di prothesis, cioè nella prima abside a sinistra, davvero molto insolito: raffigura una «Madonna sorridente».

 Incontrare una Madonna sorridente nell’iconografia bizantina è impossibile: Lei che abbraccia suo figlio, pensa sempre al destino che lo attende. Gesù è nato per una missione che lo condurrà fino alla Croce. Perciò la Madre, in tutte le rappresentazioni pittoriche e musive, ha sempre un’espressione triste e malinconica. Nel nostro caso quindi, l’espressione quasi sorridente della Madonna – che in realtà troviamo anche sulle labbra del Bambino – rende l’affresco assai curioso e singolare. Secondo una tradizione, questo fatto si spiega come una concezione teologica «di periferia», diversa da quella della capitale. Si sa, per esempio, che in Cappadocia l’iconoclastia non fu così rigorosa come a Costantinopoli. Secondo un’altra spiegazione invece, quell’espressione insolita è semplicemente dovuta a un tocco del pennello del restauratore, Michael Gough.

 Qualunque sia la motivazione, mi piace pensare che la Madonna del Monastero di Gümü?ler, con il suo bel sorriso, è lì, serena e rappacificante, proprio come una Mamma sempre pronta ad accogliere chiunque vada a visitarla.