Una possibilità per ritornare nei luoghi visitati oppure per conoscerne di nuovi rendendosi utili, è prestare servizio come volontari. Varie sono le possibilità, secondo il periodo dell’anno, il profilo di chi parte, le necessità del momento. A volte non sono richieste particolari competenze: ciò che conta è l’intraprendenza e la creatività. Si può partire come singoli o in gruppo, dipende dall’organizzazione e dalla capacità ricettiva delle strutture. Alcuni esempi di attività? Partecipare alla raccolta delle olive al Romitaggio del Getsemani a Gerusalemme; collaborare in laboratori di apprendimento e gioco o alla raccolta della frutta alla Tent of Nations a Betlemme; aiutare il gruppo di clowneria del Caritas Baby Hospital a Betlemme o se hai competenze mediche/infermieristiche, prestare servizio nell’unico ospedale pediatrico della Cisgiordania; insegnare italiano a ragazzi e adulti in parrocchie del Vicariato dell’Anatolia in Turchia; collaborare offrendo alcuni piccoli servizi in occasione del Natale o della Pasqua nell’episcopio di Iskenderun come curare l’orto e il giardino, allestire le varie sale, contribuire in cucina. Se hai energie da spendere e voglia di dare una mano, non temere: manda il tuo profilo e troveremo un servizio per te!
Un flauto per Ramallah
Nicoletta di Padova, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, è voluta tornare per imparare l’arabo e dare una mano, trascorrendo un biennio a Ramallah. Grande appassionata di musica, ha scelto di collaborare a un progetto della Fondazione Barenboim-Said (www.barenboim-said.org). Creata a Siviglia nel 2004, la Fondazione è legata alla West-Eastern Divan Orchestra, che il musicista israeliano Daniel Baremboin e lo scrittore arabo Edward Said hanno creato con giovani musicisti di tutto il Medio Oriente. Attiva a Ramallah e nei Territori palestinesi con progetti musicali e didattici che promuovono la convivenza pacifica tra tutti i popoli della regione, include tra gli allievi di musica anche bambini e ragazzi dei campi per rifugiati. Attraverso la musica si possano costruire relazioni orizzontali, in cui ciascuno è necessario e prezioso per arrivare a un risultato frutto del lavoro di tutti. Rimanere in un luogo abbastanza tempo, specie lavorando con bambini e ragazzi, ti dà la possibilità di vedere le cose mentre cambiano. Alcuni bimbi che hanno preso in mano un flauto con me per la prima volta ora suonano abbastanza bene, qualcuno se n’è andato, e qualche allievo nuovo ha appena cominciato. Nel frattempo ti accorgi che un ragazzino che prima ti arrivava alla spalla ora è più alto di te! In cambio, anch’io ho imparato una lingua nuova. A parte l’arabo, con cui ora me la cavo abbastanza, ho imparato la lingua dell’essere straniera in una terra che mi accoglie con una cultura diversa, che ha una storia importante e complessa. Gli amici qui vanno e vengono, Ramallah è piena di Ong e di uffici internazionali così, molto spesso, chi viene a lavorare si ferma solo per brevi periodi. È un po’ faticoso creare relazioni «stabili», ma è anche bello perché dà la possibilità di entrare in contatto con persone di culture diverse e insegna che le relazioni possono continuare anche se non si vive nello stesso luogo. Ho alcuni amici palestinesi e ne sono molto contenta, mi dà la sensazione di sentire anche questo luogo un po’ come «casa». La realtà qui è davvero complessa. Certo, speranza nel futuro e voglia di normalità si respirano, misti anche a un senso di scoraggiamento e frustrazione perché le cose non sembrano cambiare sensibilmente per chi vive qui. Personalmente interpreto la speranza come un costruire nell’oggi, mettendosi in gioco tutti i giorni per un presente migliore e più «attivo».
Un massaggio per Betlemme
Sara, infermiera di Monza, rientrata da un pellegrinaggio in Terra Santa, si è sentita chiamata a ridonare qualcosa di sé a chi ha incontrato nella sofferenza. Ha scelto di recarsi due mesi al Caritas Baby Hospital di Betlemme. La notte di Natale del 1952, p. Ernst Schnydrig stava recandosi a messa nella Basilica della Natività di Betlemme. Passando vicino ad un campo profughi, vide un papà palestinese intento a seppellire il proprio figlio, morto per mancanza di cure. Da allora, una nuova storia è cominciata. Il CBH è aperto a tutti i bambini malati e alle loro mamme, senza differenza di estrazione sociale e confessione religiosa. Il CBH è l’unico ospedale pediatrico in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. La spinta è venuta da un corso di massaggio rilassante per infermiere e fisioterapiste che ha progettato con la responsabile del personale del Baby Caritas Hospital di Betlemme. Ho creduto fin dall’inizio alla possibilità di «poter entrare» in Palestina attraverso il contatto corporeo; è bello poter offrire non solo medicine e flebo, ma anche affetto e carezze. Purtroppo molti bambini sperimentano l’abbandono e il dolore; il contatto fa sentire il dramma che si porta nella carne. I bambini si addormentavano, contenti di lasciarsi accarezzare e coccolare. E io sentivo di voler accarezzare tutta la Palestina e i palestinesi, desideravo che quella terra, da troppo tempo distrutta da mani che violentano e uccidono, sentisse il calore di una mano fraterna.
Una bambola di sale viaggiò sulla terra per migliaia di chilometri, finché arrivò al mare. La bambola rimase affascinata da quella strana massa in movimento, completamente diversa da tutto ciò che aveva visto prima. «Chi sei?», chiese la bambola di sale al mare. Il mare, sorridendo, rispose: «Entra e vedrai». Così la bambola entrò, e più camminava nel mare, più si scioglieva, finché rimase ben poco di lei. Prima che l’ultimo pezzetto si sciogliesse, la bambola esclamò stupita: «Ora so cosa sono!». (Antony de Mello SJ)
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