Nell’anno santo appena indetto da Papa Francesco e in vista della giornata del dialogo ebraico-cristiano del 17 gennaio, diventa importante approfondire il tema del giubileo ebraico.
Se alcuni concetti di fondo rimangono comuni alle due fedi, è bene al contempo sottolinearne le differenze perché il giubileo biblico non è quello cattolico.
In questo articolo di inizio 2025, cari lettori, darò solo alcuni spunti di riflessione lasciando come sempre alla vostra curiosità la voglia di approfondire nel dettaglio il tema trattato.
Partiamo innanzitutto dalla lingua; il termine deriva dalla parola ebraica yubel che indica talvolta alcuni tipi di animale (agnello, montone) talvolta il corno di questi animali, strumento per richiamare a raccolta il popolo in diverse occasioni. Il giubileo è infatti indetto col suono di questo corno a Kippur, il giorno dell'espiazione, evidenziando un chiaro legame col concetto del perdono.
Il riferimento di base è un passo del Levitico (Lv 25, 10): «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia».
La prima importante osservazione da fare è che il giubileo biblico ha un carattere stanziale, non prevede spostamenti o pellegrinaggi nella città santa come altre feste (Pesach, Shavuot, Sukkot); la dimensione spaziale non è prioritaria, lo è quella temporale, anche se la conditio sine qua non è vivere in terra d’Israele per poterlo indire.
Perché ogni 50 anni? Questo numero ricorre spesso nella Torah (pensiamo ad Abramo che, nel parlare con Dio a Mamre per salvare Sodoma e Gomorra, comincia con l’ipotizzare la presenza di 50 giusti). È un multiplo di 7 più 1 (dove 1 è il numero sacro per eccellenza perché identifica il Creatore); 7 è un altro numero fondamentale perché è il numero dei giorni della creazione. Lo shabbat − giorno di riposo dove l’uomo si ferma, un tempo in cui dare priorità a Dio e ai legami, comandamento anti-idolatrico per eccellenza − ricorre appunto il settimo giorno della settimana. Ogni 7 anni nel mondo ebraico ricorre l’anno sabbatico per mettere a riposo la terra (uno shabbat lungo un anno in pratica) e ogni 7 anni sabbatici, 49 quindi, fa seguito l’anno giubilare, il cinquantesimo.
Per comprendere il significato di questa ricorrenza, occorre fare mente locale sulla situazione storica; quando Giosuè prende possesso della terra, lo fa nella consapevolezza che essa è di Dio è che gli esseri umani ne sono solo inquilini. Provvede così a dividere la terra tra le tribù di Israele all’interno delle quali la divisione viene fatta tra le famiglie che le compongono; può capitare che, per indebitamento o altre ragioni, si perda la terra. Questa perdita però, nel concetto giubilare, non è eterna e viene ripristinata ogni 50 anni proprio in virtù del fatto che la terra è solo di Dio e non dell’uomo. L’imperativo del giubileo è triplice: riposo della terra, condono dei debiti, liberazione degli schiavi. Ognuno di questi punti richiederebbe un lungo approfondimento che all’interno di questo articolo risulterebbe riduttivo; mi limiterò quindi a ricordare che il mondo antico, quello semitico in questo caso, funzionava secondo impostazioni diverse rispetto al nostro attuale e anche la concezione di schiavitù non è da intendersi nella modalità odierna. Dobbiamo sempre ricordare che la Storia non può essere letta se non con gli occhi del presente, ma con occhiali speciali che facciano focus sul periodo preso in esame: diversamente si rischia di emettere sentenze grottesche e sbagliate.
Il concetto di yubel si lega così alla terra d’Israele e alla permanenza del popolo su di essa ed esplicita l’idea che esista un tempo di cambiamento, una nuova partenza per tutti; in quest’ottica la giustizia impera perché, con la remissione dei debiti, si evita la povertà endemica, col riposo della terra si rispetta il creato. Tutto questo reso possibile dal perdono.
È un progetto di enorme portata, ragione per cui sorge spontaneo chiedersi se storicamente il giubileo biblico abbia avuto luogo; sono molti a ritenere l’evento poco probabile, a ogni modo non si hanno tracce certe della sua applicazione. Del resto si possono intuire i problemi logistici relativi che lo rendevano difficilmente applicabile (per esempio come lasciare a riposo la terra per due anni di fila, quello sabbatico e quello giubilare, e nutrirsi). Inoltre, come detto in premessa, la conditio sine qua non è la possibilità che il popolo viva nella terra di Israele, presupposto non sempre possibile viste le diaspore e le prigionie in altri paesi. Oggi giorno questa condizione è soddisfatta dall’esistenza dello stato di Israele, ma bisogna fare due riflessioni in merito. La prima è una riflessione meramente numerica: quando il testo di Levitico fu redatto, il popolo sulla terra di Israele era numericamente inferiore rispetto a oggi, motivo per cui la divisione e restituzione della terra aveva un andamento diverso. La Torah inoltre non affronta il caso di aumento della popolazione. Altra importante considerazione è che l’attuale stato di Israele, con buona pace dei suoi detrattori che lo equiparano a stati teocratici, non segue la normativa biblica, è retto da principi di democrazia applicata come lo è quello italiano. Il riferimento alla Bibbia è parte della vita dello stato, della cultura, ma non disciplina in toto la vita del popolo. Detto in altre parole, non mette in atto la condizione storica descritta nella Torah.
A prescindere da questa presa di coscienza che il giubileo biblico è qualcosa di più utopico che reale, rimane il grande valore dei principi che esprime, principi che possono suggerire comportamenti di giustizia e perdono nelle relazioni col fratello.
L’anno giubilare cattolico è nato, si è sviluppato e ha preso forme in un contesto storico differente rispetto a quello biblico; a partire dalla cadenza venticinquennale, dall’invito a recarsi in luoghi santi di pellegrinaggio e dalle motivazioni di indizione (si veda la bolla papale del 1300) se ne distacca. Restano l’omonimia del termine e il riferimento concettuale alla remissione dei debiti da intendersi in senso spirituale però, non materiale.
Conoscere le radici del cristianesimo comporta conoscere la Torah, ma al contempo occorre capirne le differenze tutte volte a creare ricchezza, mai sottrazione o impoverimento spirituale.
Il suono dello jobel © VATICAN NEWS
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