Bayādir

Bayādir

Bayādir,  بيادر, plurale di baydarبيدر (aia, in arabo), dove viene separato il grano dalla pula. Dove il contadino raccoglie la sua fatica dopo mesi di attesa e di speranza che Dio mandi la pioggia. Dove nei villaggi di campagna i bambini giocano al sicuro perché è un terreno piano e protetto. Dove i giovani gareggiano sfidandosi per testare chi è il più forte o il più atletico. Il baydar è un luogo di incontro e di raccolta di beni. Bayādir è anche il titolo di questa rubrica a cura dei nostri amici della comunità di Deir Mar Musa

Jihad Youssef

Cosa si può dire per iniziare questa rubrica? – Mi sono chiesto…

Questa finestra aperta sul Medio Oriente non può non partire dalla sofferenza in corso.

Il popolo ebraico aveva subito lo sterminio nazista, un genocidio atroce che ha segnato la storia dell’intera umanità per sempre.

Ora la macchina militare dell’occupazione sionista israeliana sta commettendo il genocidio della popolazione palestinese di Gaza. E siccome nessuno interviene se non a parole, la guerra si sta allargando a macchia d’olio in Libano e in Siria, con la giustificazione dell’autodifesa.

Tanti saranno infastiditi o addirittura arrabbiati leggendo queste righe. Accetto che ci sia chi la pensa diversamente.

In questo Medio Oriente, che voi amate e di cui volete essere amici, siamo davvero Fratelli tutti? Tanti non ne sono convinti.

C’è chi vorrebbe buttare in mare tutti gli israeliani, non capendo che così non farebbe altro che alimentare la spirale della violenza, facendo precipitare i palestinesi sempre di più in un inferno di morte. Sì, siamo tutti fratelli, ma la grande catastrofe e vergona della nostra umanità è che i fratelli si uccidono. Basta! Se non ora, quando? Quando finirà questa catena interminabile di vendette? Quando si placherà la sete del sangue altrui?

L’ora è questa. Ora, prima che sia troppo tardi. Ora, c’è da rialzare la testa per dire basta. Ora, c’è da dare dignità a tutte le anime che sono state sacrificate al diavolo dai cuori divisi e pieni di odio.

Noi, a Deir Mar Musa, abbiamo scelto di farlo in due modi.

Il primo è con la preghiera. Siamo stati creati tutti a immagine di Dio. Tutti. Ma la somiglianza con Lui resta un progetto da realizzare. A Mar Musa cerchiamo di farci preghiera, di avvicinarci a Dio per lasciarci trasformare sempre più a Sua somiglianza. Più andiamo verso la Luce, più ci sbarazziamo della nostra opacità. Più ci uniamo a Dio, più ci troveremo uniti tra noi in Dio. Ci vuole coraggio oggi per dire che senza Dio non c’è pace, né prosperità, né gioia, né felicità. No, senza Dio non c’è salvezza. Lungo i secoli abbiamo deformato la Sua immagine e in tanti se ne sono allontanati, spesso a causa degli esempi non credibili di chi si diceva e si dice credente.

Il secondo è l’ospitalità. Ci siamo resi conto che siamo tutti ospiti di Dio, non solo al Monastero, ma in questa vita su questo pianeta. Ospitalità per noi significa fare spazio all’altro in noi stessi, nella nostra preghiera e nel nostro quotidiano. Quando il quotidiano del tuo vicino — dell’ospite che viene verso di te, mandato dal Signore del mondo come dono — diventa il tuo quotidiano, quando ricevi Dio nell’ospite e quando Dio ospita in te lo straniero o il visitatore che ti bussa alla porta, allora l’ospitalità si trasforma in intercessione per tutta la creazione che geme aspettando la trasformazione degli esseri umani e la loro manifestazione come figli di Dio. Vivere insieme salverà il mondo, visitarci farà crollare le barriere, viaggiare allargherà i nostri orizzonti.

La nostra Comunità monastica di al-Khalil, (cioè Abramo l’amico di Dio), è consacrata all’amore di Gesù Cristo per tutti e in modo particolare per i fratelli e le sorelle dell’Islam. In questo amore specifico non possono essere assenti gli ebrei, né alcun altro popolo della terra.

Tutti, se davvero lo vogliamo, possiamo diventare davvero fratelli.