Bayādir

Bayādir

Bayādir,  بيادر, plurale di baydarبيدر (aia, in arabo), dove viene separato il grano dalla pula. Dove il contadino raccoglie la sua fatica dopo mesi di attesa e di speranza che Dio mandi la pioggia. Dove nei villaggi di campagna i bambini giocano al sicuro perché è un terreno piano e protetto. Dove i giovani gareggiano sfidandosi per testare chi è il più forte o il più atletico. Il baydar è un luogo di incontro e di raccolta di beni. Bayādir è anche il titolo di questa rubrica a cura dei nostri amici della comunità di Deir Mar Musa

Un «Assad» universale che scalda il cuore

Il nuovo successore di Pietro è papa Leone XIV. Leone, in arabo أسد‎, si dice Assad.

In tanti qui in Siria si sono spaventati alla notizia che il nuovo Pontefice provenisse dagli Stati Uniti d’America. Anche se poi la sua biografia lo rende più americano che solo statunitense. Ma il suo breve discorso dalla loggia di San Pietro l’8 maggio scorso ha allargato e confortato i cuori.

Ha cominciato con l’annuncio della pace pasquale, come Gesù aveva salutato i suoi discepoli quando si mostrò a loro mentre erano chiusi per paura dentro il Cenacolo. Il primo frutto della risurrezione è la pace che nessuno può togliere; una pace rimedio alla paura e alla chiusura. «Una pace disarmata e disarmante» – ha detto Leone, in un chiaro invito alla nonviolenza e contro la guerra. Una convinzione che ha ripetuto davanti alle delegazioni ecumeniche e interreligiose dicendo: «Sono convinto che, se saremo concordi e liberi da condizionamenti ideologici e politici, potremo essere efficaci nel dire “no” alla guerra e “sì” alla pace, “no” alla corsa agli armamenti e “sì” al disarmo, “no” a un’economia che impoverisce i popoli e la Terra e “sì” allo sviluppo integrale».

È un invito alla Chiesa stessa a ripudiare la logica ossidata del potere che nuoce come il tarlo nel suo ceppo da più di duemila anni, con cui abbiamo dovuto convivere, sopportandone i cattivi risultati. Tra cui il più grande è certamente lo scandalo dato al mondo per come si è mostrata la comunità dei discepoli di Gesù per lunghi secoli, divisa e conflittuale, prepotente e presuntuosa.

Leone è anche il nome del compagno di San Francesco d’Assisi, di cui papa Francesco ha voluto portare il nome. Nei suoi primi discorsi il monaco agostiniano, nella scia del suo predecessore gesuita, sta tracciando la via per la missione della Chiesa, perché diventi «fermento per un mondo riconciliato». Missione che non è proselitismo, ma cammino verso l’unità intesa come sinodalità dentro la Chiesa cattolica, comunione di fede con le Chiese sorelle e invito al dialogo e alla costruzione di ponti con le altre religioni, in modo particolare con ebrei e musulmani.

Inquietudine nell’amore che cerca Dio, senza sentirsi superiori al mondo, è la dinamica che anima i primi passi del ministero di Leone XIV, che vuole servire e guidare la Chiesa perché diventi finalmente «lievito di concordia per l’umanità.

Leone non parla di verità assoluta che solo noi possediamo, né di paradigmi teologici perfetti che solo noi abbiamo. Parla di docilità allo Spirito che soffia dove vuole e conduce i cuori delle persone di buona volontà verso l’armonia e li accorda facendo vibrare le loro corde in un’unica melodia.

Vista e vissuta dalla Siria, l’elezione del nuovo Pontefice annuncia l’entrata di un «Assad pastore», papa Leone, che invita tutti a lavorare per la pace e la fratellanza, dopo l’uscita di un «Assad mostro», che ci ha divisi e ha seminato discordia, paura e inimicizia tra i siriani da una parte e con le altre popolazioni del mondo dall’altra.

Invitiamo papa Assad in Siria per contribuire alla sua rinascita, per trasmettere un messaggio di speranza ai pochi cristiani che vi sono rimasti e che vogliono mollare lasciando la terra che ha dato ai cristiani il loro nome.

Seguendo Leone XIII, il nuovo Leone vuole annunciare con che se il criterio della carità prevalesse nel mondo, cesserebbe subito ogni dissidio e tornerebbe la pace.

Così sia.

Quale Chiesa nella nuova Siria del dopo Assad?

Jihad Youssef

I terribili massacri che hanno colpito gli alawiti sulla costa siriana fanno tremare di paura anche i cristiani.

Infatti, benché finora i cristiani non siano stati presi di mira in quanto cristiani, non c’è alcuna garanzia che quanto successo agli alawiti non possa succedere anche a loro o ad altri gruppi etnici o religiosi. Questo non perché l’Islam ordini o permetta l’uccisione dei cristiani – al contrario, l’Islam lo impedisce! –, ma perché nessuno garantisce che gli sceicchi fondamentalisti e integralisti, i «takfiriti», non richiamino allo jihad contro i cristiani, come hanno già fatto contro gli alawiti.

Avere paura è umano. Oggi in Siria quasi tutti i cristiani sono impauriti, in tanti vivono nell’angoscia e chiedono di poter emigrare.

Tra le vittime dei mesi scorsi c’erano anche sunniti, poliziotti e soldati del nuovo governo, ammazzati dalle mafie di alawiti pro-Assad, ciò che resta del vecchio regime. Queste mafie hanno ucciso e umiliato i siriani per decenni, inclusi gli stessi alawiti; nessuno si salvava dalla loro violenza e dal terrore che incutevano.

Io non vedo l’Islam come una religione del terrore, né tutti i musulmani come terroristi. La realtà, i fatti, anche di quest’ultimo periodo, provano altro. Nella città di Baniyas, per esempio, vari sunniti hanno protetto gli alawiti nelle loro case e in tanti sono stati uccisi per questa scelta o semplicemente perché vivevano negli stessi quartieri degli alawiti.

L’unica soluzione al dramma siriano è giungere all’istituzione dello Stato civile e democratico, fondato su di una Costituzione che affermi diritti e doveri per tutti, riconoscendo l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza distinzione. Per poter centrare questo obiettivo è fondamentale un «patto sociale», a cui concorrano e in cui si riconoscano tutte le componenti del tessuto culturale, etnico, religioso e sociale siriano.

L’Islam sta vivendo una catastrofe: è diviso e sofferente. Il fondamentalismo è un cancro che nuoce in primis al corpo della umma islamica, ma anche a tutto il contesto circostante e ai suoi attori. Proprio come nel caso del cancro, infatti, la malattia non rimane circostanziata ma si allarga in metastasi fino a far perire l’intero organismo.

Considerazioni analoghe si possono fare sul fondamentalismo occidentale, oggi rappresentato dalle ultradestre e dalle nuove gemmazioni «evolute» dell’ideologia nazifascista. Tutti costoro alimentano l’islamofobia e la xenofobia. Astutamente invitano in Europa i cristiani orientali (siriani e non solo) presentandoli come perseguitati, facendo leva sui loro sentimenti di insicurezza e paura allo scopo di aizzare una reazione occidentale antislamica. Al contempo, però, stanno zitti davanti al genocidio in atto perpetuato dai loro amici Natin-ya-ho (sic).

Emigrare dalla Siria? Ognuno è libero di farlo. La Chiesa non è mia ma di Dio. È Lui che l’ha edificata sulla roccia ed è Lui che la deve proteggere, non io.

Tuttavia, il destino della presenza bimillenaria della Chiesa in Siria, la terra che ha dato al cristianesimo il suo nome, sta nelle nostre mani, è affidato alla nostra fedeltà e comprensione della nostra missione di battezzati, discepoli e discepole di Gesù.

La Chiesa che rimane in Siria non può essere solo la custode di musei e di edifici antichi ma, prima di tutto e soprattutto, la custode della fiamma del Vangelo. Una Chiesa che ha capito per esperienza che la sua prosperità è quella dell’Islam, che il suo bene è quello dell’Islam, che la sua gioia è quella dell’Islam. Pertanto, non può e non potrà mai essere una Chiesa contro l’Islam, che lo tema o sia in concorrenza. Perché sia vera Chiesa di Gesù Cristo dovrà essere necessariamente una Chiesa che, nel Santissimo Nome di Gesù, ama l’Islam e cammina in amicizia fianco a fianco con lui.

Uniti

Jihad Youssef

Nella Siria finalmente libera dal regime tiranno, si celebra anche quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o, come preferiamo dire noi semplici, con tutto il rispetto per i teologi, per l’unità della Chiesa. Sì, noi semplici preferiamo così, perché ci pensiamo come un’unica variopinta famiglia. Una famiglia che permane divisa e questo non può che farci soffrire. Come possiamo essere costruttori di pace credibili ed efficaci nel mondo, quando in famiglia ci sono figli divisi, anzi, alle volte molto divisi?

Anche in questa Siria di oggi, che spera di rinnovarsi profondamente, c’è molto bisogno di unità. Tutti i siriani hanno subito ingiustizie e oppressione per più di cinquant’anni. Alcuni hanno scelto di cavalcare l’onda del potere per ottenere qualche beneficio per sé. Ma ciò non toglie che tutti stavamo in una palude inquinata.

Per quale unità pregheremo quest’anno?

Ritengo che neppure quest’anno saremo capaci di realizzare l’unità tanto desiderata tra noi cristiani.

Forse però, potremmo cercare di incarnare un altro tipo di unità, quella sociale e politica. Se ancora non arriveremo a celebrare insieme l’Eucaristia, perché allora non riunirci in un sinodo e cercare insieme una visione condivisa per il futuro della nuova Siria che tutti sogniamo? Potremo così prepararci per la Conferenza nazionale, contribuendo con una proposta che abbia un respiro plurale. Potremo porgere la mano a tutti i componenti del tavolo per lavorare insieme per il bene del paese e così scrivere una Costituzione nella quale tutti si riconoscano cittadini a pieno titolo.

La Siria è un mosaico di etnie, lingue, culture e religioni, composto da multiformi tessere, assai diverse tra loro. La componente cristiana potrebbe fungere da malta che cementa le tessere. Detto in termini evangelici, potremmo essere lievito e sale. Questa avrebbe dovuto essere la nostra missione durante i tredici anni di guerra, ma purtroppo la paura e la mancanza di fiducia ci hanno bloccati. Nonostante questo, tanti cristiani sono riusciti in vari modi, con la grazia di Dio, a portare avanti questa missione. Ma è indubbio che il bisogno era più grande della nostra capacità di rispondergli. Questi fratelli e sorelle hanno «salvato la faccia» della Chiesa in Siria. Siano benedetti!

Un cristiano non può accettare di vivere bene in uno Stato che riempie le carceri di innocenti e li tortura sistematicamente seminando terrore per controllare la società. Il battezzato non può accettare che la sua sicurezza sia basata sull’ingiustizia inflitta agli altri.

Nella tribolazione nessuno ci proteggerà da fuori. L’Occidente non ci ha protetto, né mai ci proteggerà. Basta guardare Gaza. Come cristiani dovremo impegnarci non soltanto per vedere riconosciuti i nostri diritti, ma anche per costruire uno Stato di diritto che affermi e tuteli il rispetto di ogni persona umana — con le sue varie appartenenze e non a prescindere da esse — e il valore del lavoro, assolutamente necessario per risollevare il paese dalle ceneri.

Oggi la Siria ha bisogno di riconciliazione, di rielaborare il lutto e di parlare del suo dolore. I suoi figli e figlie hanno bisogno di condividere le loro storie e le loro sofferenze per poter perdonare, e magari poter ammettere i propri errori per poter essere perdonati. Se prima non c’eravamo riusciti ad essere un solo popolo unito, ora lo possiamo diventare. Non perderemo l’occasione.