11-20 AGOSTO 2019
Oltre la paura. La mia estate in Libano e Siria
di Emilia Montagna
Una vacanza? No, di più, un’esperienza che lascia il segno.
Il nostro piccolo gruppo, molto eterogeneo, si è formato a Roma. Ognuno di noi arrivava da città diverse; eppure, poco dopo, sembravamo amici da sempre. Ci guidava Samer, un giovane siriano, sempre molto attento ai nostri bisogni e alla nostra sicurezza. Samer ci ha accompagnati a visitare antiche vestigia: dal tempio di Baalbek in Libano, uno dei siti archeologi più importanti del Vicino Oriente (dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1984), all’imponente teatro romano di Bosra in Siria, il più grande al mondo e tuttora intatto (quindicimila posti e acustica perfetta!). Purtroppo, di altri celebri siti sono rimaste soltanto il ricordo e le immagini sui libri. Così è toccato alla famosa Palmira, capolavoro per sempre perduto. La nostra permanenza in Libano è stata breve. Dopo la visita della bellissima, elegante ma caotica Beirut – città di convivenza pacifica, dalle enormi moschee a fianco a cattedrali e a santuari – siamo proseguiti per la Siria, terra di cui abbiamo ammirato l’arte e gli incantevoli paesaggi, nonché gustato l’ottima cucina (con cene finite a narghilè!) e fatto incontri genuini che ci hanno allargato il cuore. Samer ci ha fatto conoscere la sua splendida famiglia e tanti giovani dell’università di Damasco, studenti del master in turismo. È stata una vera sorpresa per noi, perché abbiamo potuto condividere il loro entusiasmo, la loro voglia di andare avanti e di superare la paura e le tragedie vissute. Il loro sorriso ci ha fatto bene. Sì, nonostante tutto, quei giovani sono ancora capace di sorridere e di guardare oltre! Il ricordo più forte che mi sono portata a casa è il loro orgoglio, il loro coraggio, la loro dignità di essere siriani.
A rendere ancora più interessante e indimenticabile il nostro viaggio sono state le testimonianze di chi ha scelto di stare accanto nella prova. Quella di Giulia, suora francescana, anziana e minuscola ma con una forza incredibile: insieme ad altre due consorelle, nel periodo delle grandi migrazioni di profughi a Damasco, sono riuscite ad ospitare e a dare da mangiare a più di sedicimila persone! Quella di Abuna Rami Elia, gesuita laureato in psicologia a Parigi, che dal piccolo santuario di Sant’Elia, accoglie e supporta ancora oggi, le persone che scappano dalla guerra e da situazioni infernali di violenze di ogni tipo.
Ma se oggi mi si chiedesse di tornare in Siria, il luogo dove andrei per stare più a lungo è senza dubbio Deir Mar Musa, monastero in mezzo al deserto, lontano da tutti ma a tutti vicino. Scavato tra le rocce dello stesso colore della sabbia, il monastero è nato per favorire il dialogo islamo-cristiano, promuovere una cultura della pace e dell’ospitalità, aperto a chiunque sia in ricerca. Abuna Jihad, Suor Huda e Suor Dima dedicano la loro vita alla preghiera, al lavoro manuale e all’accoglienza. Con Dima siamo rimaste a parlare per ore durante la notte, sotto la luna piena che illuminava a giorno la terrazza, dove abbiamo aspettato l’alba insieme alle altre amiche compagne di viaggio. Appena si è fatto giorno tre ragazze arabe che erano con noi, si sono vestite di bianco e, rivolte verso la stessa direzione, hanno incominciato a pregare in silenzio. Un’atmosfera densa di meraviglia e profondità. Sorto il sole, anche noi abbiamo pregato il «Padre nostro».
Più il viaggio proseguiva, più tra noi ci si conosceva meglio: stavamo vivendo un’esperienza davvero particolare. Samer, con grande pazienza, rispondeva alle nostre mille domande su un mondo che viene raccontato in modo parziale dalla TV e dai giornali. Cercavamo di capire le ragioni storiche, politiche e religiose di questa guerra che ha causato più di trecentomila morti e sei milioni di profughi, oltre la distruzione di intere città. Non è stato facile capire e credo che tutti noi siamo riusciti a comprendere poca cosa rispetto a tutto ciò che è successo. Ciononostante, sono sicura che la nostra presenza sia stata molto gradita ai nostri amici siriani. Era tanto ormai che non vedevano visitatori dall’estero e dunque, in un certo senso, per loro abbiamo rappresentato una svolta! Tutti volevano farsi fotografare insieme a noi. Malgrado il nostro impaccio, abbiamo sempre accettato con piacere, perché avevamo intuito ciò che quel piccolo gesto rappresentava per loro. I siriani ci hanno conquistato. Tutto questo e molto, molto altro rimarrà nel cuore di tutti noi. È un’esperienza che consiglio, senza ombra di dubbio.