Sha'ar

Maria Elisabetta Ranghetti

Sha'ar (porta, in ebraico) è una rubrica mensile curata da Maria Elisabetta Ranghetti, scrittrice e fotografa. Appassionata di Medio Oriente, ha trascorso gli ultimi vent'anni a contatto col mondo ebraico viaggiando tra Israele e Palestina. Due dei suoi romanzi – Oltre il mare di Haifa  e Corri più che puoi  – narrano le vicende di quella terra e sono stati presentati ad Haifa e Gerusalemme.  Il terzo -  Habaytah  del 2024 - porta il lettore dentro a una vicenda dal sapore universale raccontando il mondo complesso degli charedim, gli ultraortodossi.  
Elisabetta ci aprirà una porta sull’ebraismo raccontandoci, con parole e talvolta immagini, una realtà sfaccettata e piena di fascino, per incontrare un popolo millenario con cui camminare insieme.

Hannukkah Semeach!

Il 25 del mese di Kislev il mondo ebraico celebra la festa di Hannukkah; essendo il calendario lunisolare, la data non è fissa e quest’anno il suo inizio coincide col Natale.

È la festa delle luci, cade in un periodo dove il sole comincia a risalire la sua china e celebra un miracolo avvenuto tra il 167 e il 164 a.E.V. (a.C.).

Il testo biblico a cui fa riferimento la vicenda è quello dei Maccabei che però non è incluso nel canone ebraico: si tratta quindi di una ricorrenza non stabilita dalla Bibbia, ma decisa dai grandi maestri del Talmud.

La parola Hannukka significa inaugurazione e fa riferimento alla riconsacrazione del tempio avvenuta dopo la vittoria dei Maccabei sui Seleucidi che in quegli anni dominavano la terra d’Israele.

La conquista seleucide aveva imposto al popolo ebraico pratiche politeiste e idolatriche violando, tra l’altro, il tempio in cui vennero collocate statue pagane; la rivolta partigiana, intrapresa da Giuda Maccabeo (il martellatore) e dalla sua famiglia nella cittadina di Modi’in, portò alla sconfitta di Antioco IV Epifane. A quel punto si doveva riconsacrare il tempio profanato e per farlo era necessario che la menorah – il candelabro a sette bracci – rimanesse accesa in modo permanente. Serviva quindi un certo quantitativo d’olio sacro, ma quello rinvenuto nel tempio era sufficiente solo per un giorno; e fu lì che avvenne il miracolo perché i sacerdoti decisero di accendere le candele lo stesso e l’olio durò per tutti gli otto giorni necessari.

La festa quindi prevede l’accensione di una candela – preceduta da una benedizione – ogni giorno per otto giorni in ricordo di questo miracolo; il candelabro con cui si celebra – hannukkiah – non è quindi la classica menorah a sette bracci, ma un candelabro a nove bracci di cui otto per ogni luce ai quali si aggiunge lo shamash, il servitore, su cui è posta la candela che arde sempre e che si usa per accendere le altre.

La simbologia è molto importante come per tutte le celebrazioni: l’olio ricorda che non si deve rinunciare alla propria fede e ai propri valori. È una festa di gioia che rievoca la vittoria della libertà sulla schiavitù non solo fisica, ma soprattutto spirituale.

Tra le tradizioni di questa festa, c’è l'abitudine dei bambini di giocare con la sevivon, una trottola su cui sono scritte lettere dell’alfabeto ebraico (nun, gimel, hei, pei), iniziali delle parole la cui traduzione è un grande miracolo avvenne qui; questa trottola rimanda al tempo dei Maccabei quando, costretti a studiare in segreto la Torah, tenevano pronto il giocattolo per ingannare i soldati in caso di irruzione.

In molte piazze del mondo – anche italiane – in questo periodo dell’anno viene posta una hunnukkiah: la luce come vittoria sulle tenebre.

Si può riflettere sul collegamento tra questa festa e il Natale cristiano dove si celebra l’arrivo di un bambino che è luce del mondo.

Non dobbiamo mai dimenticare che il cristianesimo è una fede biblica che affonda le sue radici nel mondo ebraico da cui non può e non deve prescindere; del resto Gesù era un ebreo inserito nel suo popolo, in dialogo col suo popolo, anche se millenni di incomprensioni lo hanno distaccato dal suo mondo di partenza.

Il Concilio Vaticano II ha però segnato un’importante svolta nei rapporti ebraico-cristiani e il cristianesimo ha il dovere di portare avanti la consapevolezza delle proprie radici giudaiche partendo dalla conoscenza: il sapere come imperativo categorico per amare in maniera sempre più profonda la Parola.

Non mi resta quindi che augurare Hannukka sameach, felice Hannukka.

Più luci di speranza si accendono nel mondo, più possibilità di vita ci saranno.

Arco di Tito, Roma © fotografia di Maria Elisabetta Ranghetti

Il Museo d'Israele, Gerusalemme, Foto © Museo d'Israele, Gerusalemme, di Elie Posner

© fotografie di Maria Elisabetta Ranghetti

© fotografie di Maria Elisabetta Ranghetti