Tra Chimera e realtà
Quando si vive in un posto a lungo ci si sente a casa e tanti gesti, simboli, rituali diventano quotidianità. Forse si danno per ovvi e anche un po' scontati, ma con lo sguardo distaccato dello yabancı (straniero) appaiono sempre un po' esotici. La routine di ogni giorno è fatta di tanta gestualità, di formule dette e non dette talmente peculiari che fluiscono quasi automaticamente e a ben pensare, non solo è quasi impossibile tradurle in un'altra lingua e in un'altra cultura, ma è anche difficile raccontarle e descriverle. È come se fuori dal loro contesto perdessero la magia, l'intensità e il significato. Certamente in dieci anni di vita in Turchia di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe, ma appunto mi risulta complicato condividerli. Ecco perché partirei dalla fine, da piccole situazioni vissute ultimamente, ma che aiutano a dare l'idea di quanto grande possa essere questo Paese e la sua gente.
Come è noto, appena posso è mia abitudine concedermi un paio di giorni viaggiando e scoprire o riscoprire, non solo per prendere una boccata d'aria fuori dalla monotonia della capitale, ma anche per continuare a penetrare questo Paese in continuo divenire. Parlare con la sua gente, nelle diverse regioni, con diversi accenti, respirare l'aria che soffia sulla costa occidentale o su quella meridionale non solo è rigenerante, ma arricchisce. Le tappe degli ultimi tempi hanno visto luoghi incantati sospesi nel tempo tra le provincie di Izmir e Antalya e una tappa finale nella megapoli Istanbul. Ovunque un'atmosfera peculiare e note di memoria da conservare.
I luoghi della Chimera nella provincia di Antalya sono immersi nel verde in uno scenario pacifico fatto di spiagge tranquille e macchia mediterranea incorniciati in un cielo di quelli infiniti che regalano stelle che nella loro brillantezza si riflettono sull'acqua. E l'atteggiamento degli autoctoni riflette la calma dei ritmi naturali di questi posti leggendari. E proprio al calare del sole, nel luogo della Chimera, che la magia diviene realtà... e piccoli fuochi si accendono dal ventre della terra. E tutti, indistintamente dalla provenienza, attendiamo che la magia avvenga, rimanendo incantati davanti al fuoco che diventa oggetto di selfie, ma soprattutto luogo di raccoglimento e condivisione. I più attrezzati organizzano dei veri e propri pic-nic davanti alle piccole fiamme, come quel gruppo turco-svizzero che, come se ci conoscessimo da sempre, con fare estremamente famigliare e inclusivo, mi hanno offerto del vino, invitando ad unirmi a loro nella fase barbecue e condividendo senza sosta tutto ciò che avevano portato. La Turchia è questa: comunità, quel che è mio diventa anche tuo. Pochi gesti, ma che accarezzano il cuore. Uno scambio, di parole, pensieri. Come è successo qualche tempo fa passando per un piccolo villaggio della provincia di Izmir in puro stile ottomano, immerso nel verde. Prati e distese di ulivi, cavalli liberi e stallieri che osservano da lontano, ma quando percepiscono che il yabancı può capire la loro lingua si aprono in dialoghi senza fine sul come le cose stiano cambiando, la speculazione turistica stia trasformando ogni cosa e come la fiducia accordata al vicino stia scalfendo l'idea di comunità. Parole che a primo impatto suonano stonate e un po' sopra le righe, soprattutto fuori luogo, date le circostanze del nostro incontro, ma forse hanno un loro significato poi non così recondito.
La Turchia degli ultimi vent'anni è stata oggetto di boom edilizio, tutti gli spazi vuoti sono ora occupati da palazzoni e residence dello stesso stile. È stato l’esito del processo di urbanizzazione che da queste parti ha subito un’accelerazione negli ultimi tempi. E così l'autenticità di molti posti è stata inquinata in nome di servizi migliori e progresso. E questa trasformazione è quantomai evidente nelle grandi città, prima tra tutte Istanbul, dove ho vissuto fino a cinque anni fa. E ritornarci da turista per una visita approfondita ha svelato le sue nuove identità. Oltre ai nuovi quartieri e opere edilizie, che confondono i minareti delle moschee e i grattacieli, esito della politica di liberalizzazione verso il vicino Medio Oriente e soprattutto degli sfortunati eventi siriani, oggi interi quartieri hanno assunto una connotazione prevalentemente araba. Un carosello di negozi e ristoranti, che durante il Ramadan non riuscivano quasi a contenere l’affluenza dei clienti. Arabi residenti in Turchia, per scelta o necessità. Altro segno, forse il più tangibile di ospitalità.
Un Paese in divenire questa Turchia, la cui vita scorre veloce senza perdere la propria genuinità, dove c'è posto per tutti, nel bene e nel male.