Sultanhani, il
Caravanserraglio del Sultano
Recentemente ho fatto un viaggio verso la Cappadocia – terra veramente incantevole – ammirando quel tipico paesaggio dell’altopiano anatolico che ricorda un po’ le steppe della Mongolia: si attraversano infatti chilometri di territorio senza incontrare neanche una casa abitata. Ho potuto ritrovare amici e luoghi che non vedevo da quasi due anni a causa della pandemia da Covid 19. Tra le visite fatte, c’è stata anche quella al Sultanhanı, il più grande caravanserraglio selgiuchide dell’Anatolia (è esteso circa 5.000 metri quadrati), i cui lavori di restauro erano già stati avviati prima della pandemia. Sia il paesaggio che il caravanserraglio stesso mi hanno inevitabilmente fatto pensare ai viaggi di una volta. Adesso viaggiare da un posto all’altro è sicuramente molto più facile e veloce rispetto ai secoli scorsi: puoi tranquillamente percorrere 700-800 chilometri al giorno anche con una macchina ordinaria come la mia, senza parlare quindi di aerei e treni veloci. Adesso ci sono alberghi molto belli e comodi – a volte esageratamente lussuosi! – dove possiamo pernottare in sicurezza con tutti i servizi di cui abbiamo bisogno. Ma come si viaggiava in Anatolia sette o otto secoli fa? Come facevano a passare la notte in modo sicuro e con i servizi a disposizione? Sono domande che sorgono spontanee vedendo questi luoghi desolati che si trovavano sulla rotta commerciale del Paese.
L’Anatolia, infatti, si trova in una posizione strategica tra l’Asia e l’Europa e da sempre è stata un punto di passaggio tra l’Oriente e l’Occidente: alcune delle vie commerciali più importanti della storia passavano dall’Anatolia, tra cui la Via della Seta e la Via del Re, che iniziava a Sardi, capitale della Lidia e finiva a Susa, capitale della Persia (e viceversa). Perciò non è sbagliato ipotizzare che su queste vie commerciali esistessero sin dai tempi antichi delle strutture per ospitare i viaggiatori.
Quando i turchi Selgiuchidi occuparono nell’XI secolo una buona parte dell’Anatolia – almeno quella orientale e quella centrale – e cominciarono a controllare anche le vie commerciali, vollero rianimare il commercio, ristrutturando le vie romane e costruendo delle strutture architettoniche imponenti per favorire un pernottamento sicuro a viaggiatori e commercianti. Così costruirono decine e decine di caravanserragli nel giro di pochi anni. A seconda delle diverse aree geografiche vengono chiamati con nomi differenti: funduq in Marocco e nel nord Africa occidentale; wikala in Egitto; in Anatolia kervansaray, han e ribat.
Anche per l’origine di questi edifici ci sono varie ipotesi. C’è chi li fa iniziare come stazioni reali della famosa Via del Re; chi invece cerca i primi esemplari in India. Ma la parola ribat ci potrebbe forse aiutare ad avere un’idea sull’origine. Ribat è una parola araba che descrive le strutture di difesa, complessi di castelli posti sui confini dei domini islamici. Alcuni studiosi affermano che i musulmani, venendo a contatto con i castrum romani in Spagna e nel nord Africa, dopo la loro conquista li trasformarono adattandoli alle proprie esigenze e così nacque la pianta tipica dei caravanserragli. In effetti, la prima cosa che si osserva guardando un caravanserraglio è l’imponenza della struttura, che ricorda un complesso di difesa. L’edificio, che in principio doveva offrire un pernottamento sicuro, al riparo dagli attacchi dei banditi, poteva facilmente trasformarsi in una guarnigione militare in caso di guerra. Sappiamo che un certo İlyas Bey – un emiro locale turco ribellatosi contro un generale mongolo nel XIII secolo – dopo essere stato sconfitto, si rifugiò dentro il Sultanhanı e il capo mongolo per ben due mesi non riuscì a conquistare il caravanserraglio neanche con una forza di 20 mila soldati.
Questo «caravanserraglio del Sultano» deve il suo nome al fatto che fu costruito nel 1229, durante il regno del sultano Alaeddin Keykubad. Situato sulla via tra Konya – allora capitale del regno – e Kayseri (l’antica Cesarea), rappresenta probabilmente uno degli esemplari più belli di questi edifici. Si accede da un portale monumentale che conduce a un cortile che misura 44 metri di larghezza e 58 di lunghezza, chiamato «parte estiva». Prima di entrare vi consiglio di fermarvi a osservare la decorazione di questa porta monumentale in pietra decorata in modo molto dettagliato, uno dei due elementi più tipici dell’architettura selgiuchide, insieme alla cupola conica poligonale (come quella delle chiese armene-georgiane).
La decorazione più tipica dei portali è il mukarnas, una copertura triangolare sulla porta formata da nicchie più piccole, caratterizzate da motivi geometrici complessi e stalattiti che salendo sporgono in rilievo a piramide. Siccome per la teologia islamica è impossibile ritrarre il volto di Allah, un modo per rappresentare la divinità fu quello di usare motivi geometrici che tendono al cerchio, simbolo per eccellenza del «Perfetto», non avendo né inizio né fine e sul quale, mettendo il dito, potete girare all’infinito. Questo è il motivo per cui trovate sempre nelle moschee e in altri edifici islamici pannelli di composizione che indicano l’infinito con un insieme di esagoni, ottagoni, decagoni, ecc. L’intento è di trasmettere il messaggio che, prima o poi, tornerai al punto di partenza, ossia sempre parti da Dio e torni a Dio. Non a caso i portali di cui abbiamo parlato sopra venivano chiamati popolarmente anche Porta del Paradiso.
Del resto, si può facilmente immaginare il senso di sollievo e di consolazione che provavano a sera commercianti e viaggiatori vedendo una struttura così imponente e sicura, dopo tutta la stanchezza del viaggio e i pericoli affrontati durante il giorno!
Una volta entrati, si possono osservare nel cortile diversi ambienti con differenti funzioni: un hamam (bagno turco) per gli uomini e uno per le donne, il refettorio, stanze per il sarto, il maniscalco, il veterinario, il medico ecc., insomma non mancava niente per venire incontro alle esigenze dei viaggiatori. Dopo il bagno e la cena, si ringraziava il Signore pregando nella Köşk Mescidi (moschea-chiosco) situata in mezzo al cortile.
Appena dietro la moschea ci accoglie un altro portale, un po’meno decorato rispetto a quello esterno, ma pur sempre con la stessa simbologia architettonica. È l’ingresso alla parte coperta, chiamata anche «parte invernale». L’interno è veramente imponente e con le sue cinque navate ricorda una chiesa medievale. Le finestre sono molto piccole, non solo per motivi di sicurezza, ma anche per conservare il calore. La cupola che esternamente è poligonale, all’interno appare sferica.
La gestione dei caravanserragli è molto interessante perché non erano assolutamente edifici per fare profitto. Nella fede islamica sono fondamentali le opere caritative che si fanno durante la propria vita. Si crede che quando un bambino passa all’adolescenza viene preparato da Dio un suo amel defteri, cioè un quaderno sul quale verrà scritta sia la lista delle opere buone sia di quelle cattive: un angelo sulla sua spalla destra segnerà le opere buone, mentre quello a sinistra prenderà nota delle opere cattive e dei peccati. Nel giorno del Giudizio i fedeli verranno giudicati in base a quello che emergerà da questi amel defteri. Ecco perché i fedeli, secondo le loro possibilità economiche, vollero fondare dei Vakıf (Wakf in arabo), ovvero delle istituzioni caritative senza aspettarsi nulla in cambio. L’unica cosa richiesta da questi fondatori era la recita della preghiera più importante, la Fatiha:
Sia lode al Signore,
il Clemente, il Misericordioso,
il Padrone del giorno del Giudizio;
Te solo noi adoriamo
e a Te solo ci rivolgiamo;
guidaci sul retto sentiero,
il sentiero di chi vive nella tua grazia
non incorre nella tua ira
e si tiene lontano dall’errore.
Dunque questo nostro Sultanhanı fu fatto costruire dal sultano grazie al reddito dei suoi immobili e il sovrintendente poteva sapere con esattezza i soldi che sarebbero entrati annualmente per poterli gestire nel modo desiderato.
È significativo che in tutti i caravanserragli selgiuchidi qualunque viaggiatore, senza distinzione di fede, nazione, etnia, lingua e cultura, poteva rimanere gratis fino a tre giorni. Tutte le spese venivano pagate dalla fondazione del sultano in cambio di una preghiera fatta per l’anima del benefattore, così che gli fosse garantito un continuo arrivo di opere buone anche dopo la sua morte!
I caravanserragli furono così importanti per la nostra cultura turca che ne è rimasta traccia anche nella nostra letteratura. Dice il poeta: İki kapılı handa yürüyorum gündüz gece, ovvero «cammino giorno e notte in un han con due porte». Da qui si può facilmente capire che il caravanserraglio è un’allegoria della vita stessa: nascendo si entra dalla prima porta e morendo si esce dall’altra.
I caravanserragli sono perciò rimasti lì, silenziosi e imponenti a raccontare i simboli di un tempo, una saggezza antica e il ritmo lento del viaggio, sussurrandoci i segreti di un’esistenza e di uno stile di vita che forse abbiamo dimenticato da tanto, troppo, tempo.