Dara, l’Efeso della
Mesopotamia
Mi ricordo ancora molto bene l’emozione che mi fece vivere la Mesopotamia quando andai a visitarla per la prima volta in vita mia, tanti anni fa.
Dai banchi di scuola tutti sappiamo che Mesopotamia significa letteralmente «tra i fiumi» e che si tratta di due fiumi «leggendari»: il Tigri e l’Eufrate. Ma forse non tutti sanno – se non sono ovviamente interessati alla geografia – che questi fiumi nascono proprio nell’Anatolia orientale in Turchia e poi passano in Siria. Questo fa sì che parte del territorio turco sia la cosiddetta Mesopotamia, quella settentrionale.
Inoltre ricordiamo quanto fu importante nella storia questa terra per le civiltà, le tradizioni e le culture nate e tramandate fino ai nostri giorni.
Qui nascono i primi esempi della vita sedentaria in Medio Oriente, luoghi che trasformati con il tempo in colline artificiali – i cosiddetti tell – svelano agli archeologi tutti i segreti della vita, dell’arte e del modo di percepire il mondo dei nostri avi. Basta pensare a Göbeklitepe, un tell del X millennio a.C., presentato come il primo tempio dell’umanità (!), anche se c’è forse da capire ancora la sua vera funzione. Per i pellegrini poi, è un’esperienza veramente unica scoprire le chiese e i monasteri della cristianità siriaca del monte Tur Abdin (=servitori di Dio), alcuni dei quali fondati già prima dell’editto di Milano.
Comunque, una delle sorprese più belle per me fu la scoperta di Dara, una città-guarnigione, tanto grande e bella che veniva definita «l’Efeso della Mesopotamia».
Il sito, che si trova a 30 km dalla città di Mardin e a solo 9 km dalla rinomata Via Della Seta, molto probabilmente prende il nome dal famoso e sfortunato re persiano Dario III, che perse tutte le guerre condotte contro uno dei generali più famosi della storia: Alessandro Magno.
Secondo gli storici Michele Siriaco e Giovanni Malala, questo sito è proprio il luogo dove venne assassinato il re Dario.
Siccome questa zona fu, più o meno da sempre, il confine tra l’impero romano e quello sasanide, - l’ultima grande dinastia persiana che crollerà con la conquista araba musulmana nel VII sec. d.C. -, veniva attaccata, conquistata e riconquistata ora dai sasanidi ora dai romani.
Quando nel 503 d.C. i sasanidi conquistarono Amida – oggi Diyarbakır – l’imperatore Anastasio capì che era necessario costruire una guarnigione sul confine per poter reagire in tempo contro il nemico. Dopo essersi consultato a lungo, decise di costruire la sua fortezza presso un piccolo villaggio fondato probabilmente dal re parto Arsace, già nel III secolo a.C., in una posizione strategica e con abbondante acqua. Fece portare 4 mila operai armeni dalla Siria (eccellenti lavoratori della pietra), che iniziarono a lavorare nel 505 per costruire le mura lunghe 4 km e larghe 8 metri. Dopo la fine dei lavori, sorvegliati dal vescovo di Amida, Tommaso, la città venne onorata con il nome dell’imperatore e diventò Anastasiopoli, poi Iustiniana Nova dopo Giustiniano; infine, si ritornerà al nome che si usa tuttora: Dara. La città cambierà padroni un paio di volte tra romani e sasanidi, fino all’arrivo degli arabi nel 639, che conquistarono tutta la regione compresa Dara, la quale, perduta l’importanza strategica, pian piano cadrà nell’oblio.
La visita al sito archeologico inizia dalla necropoli, una delle più interessanti che io abbia mai visto. La pietra di cui avevano bisogno per la costruzione è ricavata direttamente da questa zona ed è di roccia calcarea; così, la cava di pietra, finiti i lavori, è stata trasformata in necropoli.
Prima del 2009, quando la vidi la prima volta, gli scavi erano appena all’inizio, la parte bassa era ancora sotterrata e non aveva il fascino di adesso. Ciò che rende unica questa necropoli è che si tratta di un cimitero coperto a tre piani.
Al piano inferiore gli archeologi hanno trovato le ossa di migliaia di defunti e, secondo alcuni studiosi, si tratta delle ossa dei soldati romani caduti in guerra. A queste poi sono state aggiunte altre tombe di epoche successive.
Proprio sopra l’ingresso del cimitero, infatti, esiste un bassorilievo un po’ consumato ma ancora in buono stato: a sinistra si vede una persona rivolta verso le ossa e i crani ben visibili, nell’angolo in basso a sinistra. Alcuni ricercatori hanno identificato questa scena con quella della profezia delle ossa aride di Ezechiele (cf. Ez 37, 1-14), mettendola in relazione con la speranza della resurrezione di questa gente sicuramente cristiana, massacrata dai persiani zoroastriani. Si ipotizza infatti che la scena di questo bassorilievo sia stata realizzata in memoria dei loro martiri, quando i cristiani tornarono lì nel 591, dopo il massacro sasanide subito nel 573. La scena che si trova invece a destra della finestra, sempre secondo i ricercatori, potrebbe rappresentare Mosè e il roveto ardente.
Un altro aspetto scioccante di questo sito fu per me vedere delle cisterne ancora più grandi di quella di Istanbul! Tutti quelli che hanno visitato la grande metropoli avranno sicuramente visto la cisterna vicina a Santa Sofia, rimanendo di certo molto colpiti. Vedere opere dello stesso calibro in mezzo al nulla (noi turchi diciamo: kuş uçmaz, kervan geçmez, cioè «dove non volano uccelli, né passano le carovane») è veramente molto impressionante, specialmente dopo aver visto che sopra queste cisterne ci sono case ancora abitate. Sicuramente furono scavate per sopperire alla necessità di dover conservare depositi d’acqua durante l’assedio del nemico: calcolando il volume delle quattro cisterne finora trovate, si deduce che 40-50 mila soldati stazionati in città potevano tranquillamente avere acqua necessaria per un anno, anche se il nemico avesse buttato del veleno nel fiume Cordes, che passa dal centro della città. Alcuni studiosi affermano addirittura che alcune cisterne avevano delle paratie che venivano aperte durante l’attacco per allagare il territorio e far annegare i soldati nemici.
Si racconta che i sasanidi avevano inventato strategie molto interessanti per poter conquistare le città che assediavano. Si dice che durante un assedio di Dara, dopo tanti attacchi falliti, un visir del re gli consigliò di lanciare giare di olio d’oliva con le catapulte appiccando il fuoco alle mura e continuando ad alimentarlo con l’olio. A causa di questo incendio prolungato, la pietra calcarea delle mura si trasformò in gesso. Allora si cominciarono a buttare altre giare, stavolta piene di aceto, che, producendo una reazione fecero sciogliere il gesso frantumando le mura. E così la città venne conquistata: si può forse dire che fu una delle prime guerre chimiche della storia!
Un altro racconto curioso è relativo all’assedio della vicina e importante città di Nisibi, oggi Nusaybin. Dopo tanti attacchi senza successo, il re ordinò di procurare tutti i serpenti e gli scorpioni che si trovassero in Persia! Cominciarono poi a buttarli in città, dentro a migliaia di giare; la gente disperata dovette aprire le porte della città arrendendosi così al nemico. Non sarebbe un esempio di guerra biologica? Magari voi potreste dirmi: «Queste sono leggende!». Forse, ma uno studio scientifico fatto a Nisibi da medici di Mardin confermò che il 60-70% dei serpenti e un po’ meno degli scorpioni lì viventi non appartengono a specie locali, ma sono stati portati da fuori. Chissà, forse un fondo di verità c’è...
Dara, scavata finora solo al 10-15%, sta diventando una tappa quasi obbligatoria. Luogo affascinante, come tutta la Mesopotamia, offre bellezze uniche e promette di lasciare a bocca aperta chiunque la visiti.